Le  favole  di  Selene

 

T i - kkà

(dal Sito Rigo Camerano  http://www.rigocamerano.org)

Ti-kkà era una bimba della tribù india degli scalpi biondi, nota per la bellezza dei suoi capelli dorati che lei amava tenere sempre legati a treccia, in innocente contrasto alle leggi della propria tribù che li volevano, per donne e uomini, sciolti e fluenti, ordinati soltanto da una fascia che avvolgeva loro la fronte.

Ti-kkà non era una bimba qualsiasi, ma la figlia stessa del re, o se si vuole del capo A-kum, suo unico genitore, da che la mamma era morta. Il suo nome, nel musicale linguaggio della propria tribù, significava "bocciolo di rosa rossa".

A-kum era un padre amorevole e comprensivo, che sapeva distinguere la forma dalla sostanza, tuttavia era anche il responsabile della legge, costretto quindi ad imporre a tutte le fanciulle i capelli fluenti.

- Metti almeno una fascia intorno alla fronte - implorava, fra il disperato e il paziente, alla propria figlia - o altrimenti lo stregone troverà un argomento contro di me. Sai bene che i capelli a treccia li portano le donne della tribù ka-ttì, nostra secolare nemica.-

Ma per quanto suo padre dicesse, implorasse, e infine la gridasse e minacciasse, nessuno riuscì mai a convincere Ti-kkà a sciogliere i propri capelli, nè a sopportare una fascia sulla fronte.

Tanto insistette che lo stregone intervenne, e con grande dolore del padre riuscì ad accusarla di ribellione alla legge e ad esiliarla nella grande e oscura foresta dei monti neri del Sud Dakota, poichè è proprio lì che si sta svolgendo la nostra storia.

Ti-kkà aveva soltanto otto anni, e nessuno le aveva insegnato a distinguere i frutti buoni da quelli cattivi. Rimase così un mese intero a nutrirsi di sole bacche di ribes e more, le quali erano le uniche che le piacessero. Per sua fortuna i frutti velenosi sono amari, e quelli di pungitopo difficoltosi a raccogliersi.

Passato un mese, nel quale, praticamente, aveva osservato il digiuno, vide avanzare verso di lei un gigantesco gatto, che così grande non l'aveva mai visto.

Era il gatto mammone, temuto un po' dai bambini, ma in realtà assai vecchio, buono e saggio.

Ti-kkà si spaventò nel vederlo, ma l'animale, per rassicurarla, parlò per primo.

- Chi sei? - le chiese, con tono tranquillo.

- O chi sei tu? - rimandò Ti-kkà, e il gatto le confidò di essere un campione mandato dagli dèi  a rappresentare tutte le creature animali simili a lui.

- Anch'io sono figlia di re - si lamentò Ti-kkà - eppure eccomi abbandonata. - e raccontò la faccenda dei capelli e di come il padre suo e i grandi saggi della propria tribù, pure amandola, fossero stati inflessibili nell'applicarle l'esilio. Sennò, come avrebbero fatto a distinguere il loro popolo da quello della tribù Ka-ttì? Come altrimenti avrebbero potuto fare ad esso la guerra?

- Non sta bene disobbedire alla legge - commentò il gatto mammone - ma nemmeno è giusto infierire contro chi, con giusta ragione, ne scorge i limiti. - Nessuna legge è eterna - concluse infine, e lo disse con sicurezza, poichè aveva mill'anni e nella sua vita ne aveva viste già troppe.

-Vieni con me - le disse infine, e condottala fuori dalla foresta, la portò nella estesa radura d'erbe commestibili ove pascolavano i bufali; lì la educò alla saggezza, le fece fare prove d'intelligenza, memoria, elasticità d'intelletto, le insegnò tante altre  cose sul cielo, la terra, il mare, la vita dei vegetali, degli animali e degli uomini.

Quando le ebbe insegnato tutto, e fu convinto che Ti-kkà aveva appreso per bene ogni cosa, le consegnò un piccolo scettro magico, con il quale lei si ripresentò alla sua tribù, la quale, non solo la riconobbe e l'accolse, ma anche le consentì di acconciare i propri capelli a suo piacimento. Anche il capo della tribù nemica dei Ka-ttì, conosciute che ebbe  le ragioni della giovane principessa,  consentì al suo popolo di tenere le chiome slegate, e tutti si accordarono per non farsi più guerra. Né da quel giorno più nessuno fu cacciato nel bosco.

La morale di questa storia è che nulla sta fermo e che ogni legge proviene dalla saggezza umana, per cui, quanto più intelligenti, colti e umani saremo, tanto più buone leggi potremo avere.

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