di
Jachob e Wilhelm Grimm
Nei tempi antichi, quando
desiderare serviva ancora a qualcosa, c'era un re,
le cui figlie erano tutte belle, ma la più giovane era così bella
che perfino il sole, che pure ha visto tante cose, sempre si
meravigliava, quando le brillava in volto. Vicino al castello del re
c'era un gran bosco tenebroso e nel bosco, sotto un vecchio tiglio,
c'era una fontana: nelle ore più calde del giorno, la principessina
andava nel bosco e sedeva sul ciglio della fresca sorgente; e quando
si annoiava, prendeva una palla d'oro, la buttava in alto e la
ripigliava; e questo era il suo gioco preferito.
Ora avvenne un giorno che la palla d'oro della principessa
non ricadde nella manina ch'essa tendeva in alto, ma cadde a terra e
rotolò proprio nell'acqua. La principessa la seguì
con lo sguardo, ma la palla sparì, e la sorgente era profonda,
profonda a perdita d'occhio. Allora la principessa cominciò a
piangere, e pianse sempre più forte, e non si poteva proprio
consolare.
E mentre così piangeva, qualcuno
le gridò: - Che hai, principessa? Tu piangi da far pietà ai sassi.
Ella si guardò intorno, per vedere donde venisse la voce, e vide
un ranocchio, che sporgeva dall'acqua la grossa testa
deforme. Ah, sei tu, vecchio sciaguattone! - disse, - piango per la
mia palla d'oro, che m'è caduta nella fonte.
- Chétati e non piangere, -
rispose il ranocchio, - ci penso io; ma che cosa mi darai, se ti
ripesco il tuo balocco?
- Quello che vuoi, caro ranocchio, - diss’ella, - i miei vestiti,
le mie perle e i miei gioielli, magari la mia corona d'oro.
Il ranocchio rispose: - Le tue vesti, le perle e i gioielli e la tua
corona d'oro io non li voglio: ma se mi vorrai bene, se potrò
essere il tuo amico e compagno di giochi, seder con te alla tua
tavolina, mangiare dal tuo piattino d'oro, bere dal tuo bicchierino,
dormire nel tuo lettino: se mi prometti questo; mi tufferò e ti
riporterò la palla d'oro.
- Ah sì, - diss’ella, - ti prometto tutto quel che vuoi, purché
mi riporti la palla.
Ma pensava: « Cosa va blaterando questo stupido ranocchio, che sta
nell'acqua a gracidare coi suoi simili, e non può essere il
compagno di una creatura umana! »
Ottenuta la promessa, il ranocchio mise la testa sott'acqua, si tuffò
e poco dopo tornò remigando alla superficie; aveva in bocca la
palla e la buttò sull'erba. La principessa, piena
di gioia aI vedere il suo bel giocattolo, lo prese e corse via.
- Aspetta, aspetta! - gridò il ranocchio: - prendimi con te, io non
posso correre come fai tu.
Ma a che gli giovò gracidare con quanta fiato aveva in gola! La principessa
non l'ascoltò, corse a casa e ben presto aveva dimenticata la
povera bestia, che dovette rituffarsi nella sua fonte.
Il giorno dopo, quando si fu seduta a tavola col re e tutta la
corte, mentre mangiava dal suo piattino d'oro - plitsch platsch,
plitsch platsch - qualcosa salì balzelloni la scala di marmo, e
quando fu in cima bussò alla porta e gridò: - Figlia di re,
piccina, aprimi!
Ella corse a vedere chi c'era fuori, ma quando aprì si vide davanti
il ranocchio.
Allora sbatacchiò precipitosamente la porta, e sedette di nuovo a
tavola, piena di paura. Il re si accorse che le batteva forte il
cuore, e disse: - Di che cosa hai paura, bimba mia? Davanti alla
porta c'è forse un gigante che vuol rapirti?
- Ah no, - rispose ella, - non è un gigante, ma un brutto
ranocchio.
- Che cosa vuole da te?
- Ah, babbo mio, ieri, mentre giocavo nel bosco vicino alla fonte,
la mia palla d'oro cadde nell'acqua. E perché piangevo tanto, il
ranocchio me l'ha ripescata; e perché ad ogni costo lo volle, gli
promisi che sarebbe diventato il mio compagno; ma non avrei mai
pensato che potesse uscire da quell'acqua. Adesso è fuori e vuol
venire da me.
Intanto si udì bussare per la seconda volta e gridare:
- Figlia di re, piccina, aprimi!
Non sai più quel che ieri m'hai detto vicino alla fresca fonte?
Figlia di re, piccina, aprimi!
Allora il re disse: - Quel che hai promesso, devi mantenerlo; va'
dunque, e apri -.
Ella andò e aprì la porta; il ranocchio entrò e, sempre dietro a
lei, saltellò fino alla sua sedia.
Lì si fermò e gridò: - Sollevami fino a te.
La principessa esitò, ma il re le ordinò di
farlo. Appena fu sulla sedia, il ranocchio volle salire sul tavolo e
quando fu sul tavolo disse: - Adesso avvicinami il tuo piattino
d'oro, perché mangiamo insieme.
La principessa obbedì, ma si vedeva benissimo che
lo faceva controvoglia.
Il ranocchio mangiò con appetito, ma a lei quasi
ogni boccone rimaneva in gola. Infine egli disse: - Ho mangiato a
sazietà e sono stanco; adesso portami nella tua cameretta e metti
in ordine il tuo lettino di seta: andremo a dormire.
La principessa si mise a piangere: aveva paura del
freddo ranocchio, che non osava toccare e che ora doveva dormire nel
suo bel lettino pulito.
Ma il re andò in collera e disse: - Non devi disprezzare chi ti ha
aiutato nel momento del bisogno.
Allora ella prese la bestia con due dita, la portò di sopra e la
mise in un angolo.
Ma quando fu a letto, il ranocchio venne saltelloni e disse: - Sono
stanco, voglio dormir bene come te: tirami su, o lo dico a tuo
padre.
Allora la principessa andò in collera, lo prese e
lo gettò con tutte le sue forze contro la parete: - Adesso starai
zitto, brutto ranocchio!
Ma quando cadde a terra, non era più un ranocchio: era un principe
dai begli occhi ridenti.
Per volere del padre, egli era il suo caro compagno e sposo.
Le raccontò che era stato stregato da una cattiva maga e nessuno,
all'infuori di lei, avrebbe potuto liberarlo. Il giorno dopo
sarebbero andati insieme nel suo regno. Poi si addormentarono.
La mattina dopo, quando il sole li svegliò, arrivò una carrozza
con otto cavalli bianchi, che avevano pennacchi bianchi sul capo e i
finimenti d'oro; e dietro c'era il servo del giovane re, il fedele
Enrico.
Il fedele Enrico si era così afflitto, quando il suo padrone era
stato trasformato in ranocchio, che si era fatto mettere tre cerchi
di ferro intorno al cuore, perché non gli scoppiasse dall'angoscia.
Ma ora la carrozza doveva portare il giovane re nel suo regno; il
fedele Enrico vi fece entrare i due giovani, salì dietro ed era
pieno di gioia per la liberazione. Quando ebbero fatto un tratto di
strada, il principe udì uno schianto, come se dietro a lui qualcosa
si fosse rotto.
Allora si volse e gridò:- Rico, qui va in pezzi il cocchio!
- No, padrone, non è il cocchio,
bensì un cerchio del mio cuore,
ch'era immerso in gran dolore,
quando dentro alla fontana
tramutato foste in rana.
Per due volte ancora si udì uno
schianto durante il viaggio; e ogni volta il principe
pensò che il cocchio andasse in pezzi; e invece erano soltanto i
cerchi, che saltavano via dal cuore del fedele Enrico, perché il
suo padrone era libero e felice.
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